Dragone del Cielo

-E’ un Buddha…
-E’ una scimmia…
-E’ un dragone…
-E’… Luca!

La realtà della vita umana è molto meno magica di quello che si potrebbe sperare. Ci sono i piatti da lavare, il bagno da pulire, i bucati, il lavoro, gli analfabeti funzionali che dominano il mondo. Di solito i bambini quando crescono si dice che vivano accolti da una fervida immaginazione che li protegge da tutto questo. Ci sono i castelli e i dragoni, le principesse e i principi, le macchinine e i robot. Non sanno del gender, non sanno della politica, non sanno dell'”istruzione obbligatoria” resa un parcheggio, non sanno e quindi immaginano.

E’ bello. Se ci pensate. La nostra mente è  così ben fatta da mantenere questa fantasia come un Cuscino Fantastico da abbracciare la notte e che poco a poco questa si assottigli e si trasformi man mano che a buffetto e calcetto la realtà ci presenta Sarahah.

Quindi a schiaffetti e passetti il Cuscino si assottiglia, per alcuni si perde nell’infanzia, altri invece lo nascondono, spesso sotto chili di gelato che anestetizza il dolore della perdita, altri ancora sanno tenerlo in un luogo segreto a cui accedono per creare. Sono i creativi, i visionari, i pazzi. Dipendendo da quanto “cuscino” estraggono al giorno si collocano in quella linea che va dal #divertentefantasiosoinnocuo al #minacciasocialedainternare.

Quello che rende differente uno innocuo e uno da internare non è però la quantità di fantasia o creatività che porta nel mondo, ma il suo reale potere sociale, la quantità di pressione che può esercitare sugli altri determinando un movimento o un’influenza in una direzione non spontanea o naturale. Gli influencer per esempio sono ad un basso livello di potere perché non sono indipendenti, ma sono mossi da forze sociali ed economiche visual-dipendenti che determinano quello che possono dire e fare per avere successo, i politici sono ad un medio livello di potere perché hanno una forte componente carismatica individuale che gli permette di esistere a prescindere perfino dalla validità del loro pensiero e i vari fenomeni “alternativi” in politica ne sono un chiaro esempio. Esiste un’altra categoria che è di alto potere sociale, ma questa non è necessariamente visibile, o lo è solo parzialmente. Esempi classici di queste sono le entità finanziarie che determinano movimenti sociali. Se uno al potere sociale unisce un po’ di creatività, la sua pervasività ed efficacia nel generare movimenti sociali aumenta.

C’è però un potente antigene, un disinfettante e al tempo stesso un antibiotico in grado di smussare enormemente il potere sociale e la capacità di influenza. Non c’è bisogno di uno psicologo o un sociologo per comprenderlo perché la vediamo ovunque nel nostro mondo: l’ironia, la risata, il divertimentoSpesso si associano tali costrutti psicosociali al fuoco. La risata dicono sia una forma di imbarazzo tra concetti discordanti che la nostra mente risolve con una fiammata che lo “spara” direttamente verso l’esterno con la forza di un fragoroso “ahahah”.

Diverso è quando la risata è strumento di potere, ossia quando la risata non nasce più da due concetti discordanti in conflitto esplosivo, ma da due concetti discordanti in conflitto implosivo. Ossia quando la risata non è più fenomeno spontaneo per qualcosa che sul momento ci coglie impreparati e ci fa ridere prevedendo almeno teoricamente un’azione risolutiva, ma quando è un fenomeno prodotto e previsto dove aspettiamo la fiammata catartica in previsione di un’accettazione passiva.

Questa la differenza tra la risata tra amici ad una battuta a bruciapelo e la risata autoprodotta guardando video di youtube, programmi di comici, post di facebook etc…

La risata spontanea esplosiva è frutto dinamico di un albero che si muove verso l’alto, verso direzioni lontane dal suolo, la risata è il butto che diventerà ramo, l’origine di un’azione alla pari di altre emozioni, si tratta della Risata Esplosiva Dinamica Fertile.

La risata autoprodotta è frutto statico di un albero che cade verso il basso, che cerca nel proprio nutrimento una ragione di vita, che accetta molte cose che non vorrebbe e che perché queste siano “digeribili” le deve “catartizzare” via via che passa la giornata per non esplodere. E’ una risata inibitoria e castrante, la Risata Implosiva Immobile Sterile. Ma pur sempre una risata.

E poi c’è il Dragone. Per arrivare a questa categoria bisogna cambiare gli standard cognitivi di riferimento affinché non si pensi, parlando di Dragoni, a una semplice realtà sociale spontanea, ma di un costrutto artificiale o di un rarissimo caso di costrutto naturale tanto incredibile quanto la metafora che sto scegliendo. I Dragoni sono creature mitologiche e inesistenti, tanto amate che perfino Game of Thrones che cerca di essere innovativo non può fare a meno di usarli per non cadere nel ridicolo telefilmuccio da “tette e culi” di stampo politico (perché intendiamoci, oltre alle scene di sesso esplicito, GoT funziona per due cose: l’elemento fantasy e l’iperviolenza che non risparmia donne, bambini e animali).

Nella realtà umana i Dragoni sono coloro che possono volare verso la Risata Esplosiva Dinamica Fertile, e possono appoggiarsi al suolo sulle Risate Implosive Immobili Sterili ed esserne così poco influenzati da poterle utilizzare anche verso se stessi. Il Dragone è il maestro dell’autoironia, è quella creatura così eterna, ma al tempo stesso mortale e vulnerabile che unisce il cielo e la terra. E’ per questo che quando ho scoperto la leggenda del Dragone del Cielo e del Dragone della Terra  questa ha risuonato così tanto in me da renderla il tema dei miei primi Jendars.

Dentro di noi ognuno ha potenzialmente un Dragone, una forza che spinge l’uomo a spiegare le ali e mirare verso il cielo, ma che gli permette anche di stare a terra senza perdersi, senza morire, senza sciogliere il proprio ego in un flusso sociale massivo sempre imponente. Il Dragone è ciò nasce dal Cuscino Fantastico di quando eravamo bambini, quando si decide che non è possibile nasconderlo o abbandonarlo fingendo di rimanere in un mondo che sotto sotto non fa per noi e che non è utile neanche utilizzarlo solo per fuggire da una realtà in un mondo immaginario dove noi siamo i sovrani e il resto del mondo è chiuso fuori dalle nostre mura. Il Dragone è il maestro dell’autoironia, sapiente miscelatore di fiamme né in eccesso, né in difetto, un concetto sfuggente e suggestivo che assume tratti reali solo se siamo disposti ad abbracciare con profonda compassione e principio di realtà l’ampiezza non sempre esplorata della nostra natura umana. 

Però il Dragone non è solo un concetto fantasioso, se così fosse sarebbe solo un altro Cuscino Fantastico, invece così come per ciò che distingue il #divertentefantasiosoinnocuo dal “#minacciasocialedainternare nei creativi, richiede un elemento di realtà molto potente per divenire parte di ciò-che-è e non di ciò-che-si-immagina. Il Dragone deve avere potere. La sua risata deve essere in grado di poter produrre un’azione se no il suo lato passivo lo ridurrebbe unicamente al prodotto di un’immaginazione infantile. Anche l’autoironia in sé stessa non sempre è positiva, ma può produrre spessissimo una Risata Implosiva Immobile Sterile nei processi di autocastrazione sociale dovuta a genitori ipercritici o nelle dinamiche di definizione dello spazio sociale nei gruppi tra alfa e followers ad esempio. Il Dragone usa l’autoironia perché vede il Cuscino Fantastico, vede la Realtà, e sente che né l’uno né l’altra, se considerate separatamente, danno un significato definito e che quindi applicare l’una all’altra è l’unica vera soluzione dove il totale non è la semplice somma della parti.

Nella mia esperienza professionale ho lavorato molto con il concetto di bambino interiore che però fa parte di una psicologia un po’ acerba se vogliamo e un po’ addolcita, tale da essere riprodotta nelle moderne università-fabbriche per essere alla portata di tutti, ma che al tempo stesso ha una dimensione terapeutica che non si può negare. E’ una metafora interessante e per questo l’ho sempre amata per proporre questo concetto al pubblico più vasto anche perché pensavo che non si potesse dare di più, che le persone non fossero pronte a passare a qualcosa di più maturo. Invece in questi ultimi cinque anni ad occhi aperti ho visto molti più Dragoni di quanti potessi immaginarmi. Questo ha influenzato molto positivamente la mia storia personale perché è stato molto piacevole essere maieuta e catalizzatore del processo di “Dragonificazione” nelle persone che hanno richiesto la mia collaborazione per vivere meglio.

In sostanza Dragone o Avventuriero, sono solo metafore. Siamo tutti uguali sotto sotto, stringhe di codice che un programmatore può modificare anche se ha bisogno di una consolle più amplia di una tastiera. Siamo spesso immersi e assorbiti nel mondo virtuale e sembra che questo possa possederci fino a renderlo più reale di quello reale, ma a meno che non siamo il prodotto noi stessi di un computer che sogna, ogni altra evoluzione del virtuale sarà sempre e comunque complementare e secondaria ad una realtà di altro genere, quella umana.

È nella realtà umana chi può essere Dragone?

L’alfabetizzazione ha dato la sensazione a molti di possedere il potere di un significato attraverso la semplice parola, basterebbe scriverla, basterebbe pronunciarla e la magia dell’onnipotenza immaginaria infantile ci fa credere che tutto sia alla portata di tutti.  Tutto fa brodo si dice e non rifiuto assolutamente le tecniche base della psicologia da università senza le quali non mi permetterei nessuna inferenza nel mondo (i titoli universitari almeno garantiscono che qualcosa in merito dovrei saperne…), ma quando uno mira al cielo e vede altri orizzonti non può far altro che cercare una scatola, una sedia, una scala, e poi magari prendere un aereo e decidere che più in alto può stare meglio potrà vedere ciò che davvero conta. Insomma la quantità di laureati che escono dalle industrie universitarie è tale che riferendosi poi alla qualità della popolazione generale e all’impatto che l’incompetenza sta avendo su ogni campo dell’esistenza si potrebbe a ragione dubitare sulla qualità perfino di chi dovrebbe essere considerato “esperto”. Guardiamo i medici che tra obiettori di coscienza e posizioni radicalmente discordanti su molti aspetti mostrano quante arie si danno, avvocati incapaci di stilare una lettera, amministratori mai realmente al passo con le leggi. Insomma, non c’è più un “garante di sostanza”, e invece ci sono molte persone fantasiose che prendono pezzi di carta con un timbro sopra e lo usano come un Cuscino Fantastico (socialmente accettato, da qui il potere sociale) fingendo di essere parte del mondo degli adulti, che si chiamano con la loro categoria professionale, Io sono commercialista, io sono medico, io sono infermiere e in nome del potere della legge per i loro titoli di questo vivono truffando le persone per incoscienza o volontà. Dopotutto come dico sempre, tutti dobbiamo mangiare.

Questo genere di persone non possono essere Dragoni, almeno non fino a quando non sono in grado di vedere l’ironia dietro alle nostre carte timbrate e ai nostri titoli ufficiali e non possano ricordare che forse durante l’adolescenza avevano sentito almeno una volta la finzione di un mondo adulto senza spessore. Per i più lenti: appartenere a una categoria di laurea non è di per sè una forma di truffa, truffa lo è esibire la laurea come unica forma di garanzia di qualità. Un medico pessimo è pessimo anche se medico, uno psicologo incompetente può far volteggiare quanto vuole la sua pergamena che non cambia l’essenza. La vera differenza tra un buon professionista e uno pessimo è la sua capacità di percepire la propria fallacia umana e di non definirsi attraverso il proprio titolo pensando a sè stesso invece come una persona che utilizza una conoscienza specifica in evoluzione: in definitivia, chi sa di essere un essere umano e di non essere definito per la propria categoria professionale come se fosse parte della sua identità in termini esclusivi.

Non possono essere Dragoni neanche i nudi d’animo d’altra parte, chi per principio rifiuta i titoli come sigilli diabolici di un mondo cattivo e crudele e quindi non studia e parla a vanvera, coloro che contano sulla voce forte associata all’ignoranza e al numero, coloro che pensano che tutto è irrimediabilmente perduto, che non trovano in nulla una ragione di superamento dello status quo e delle attività di sopravvivenza, i cinici e i giudici di MasterChef della vita, attori di un reality senza fine. Loro il Cuscino lo hanno gettato via e si sono lanciati della vera Realtà, quella del “senso comune”, dei detti popolari e di chi la fa più in là sulla neve, dove esistono i bravi e i perdenti, i buoni e i malvagi, i bianchi e i neri. Anche loro non possono essere Dragoni. E che il cielo ce ne scampi… meglio chi almeno una pezzo di carta se lo è più o meno guadagnato e lo usi per mangiare anche se non è il migliore nel suo campo piuttosto di chi non ha mosso un neurone nella sua esistenza e parla da esperto laureato nell’Università della Vita.

Eppure anche di fronte a questo mondo vario c’è un’ultima caratteristica dei non-dragoni, forse quella più rassicurante per il lettore che si trova improvvisamente in un mondo di folli, è che queste persone fanno molto rumore per nulla. Spuntano perché si fanno notare nel bene e nel male. Una decente anche se non maggioritaria percentuale della popolazione invece  tuttavia non è in queste categorie, piuttosto si trova in una zona grigia e invisibile dove, privi di consapevolezza, non conoscono il loro vero potenziale e non rientrando in chi lo sopravvaluta facendo rumore, rimangono in silenzio.  Per cui buona notizia, se non si appartiene a qualunque forma di estremismo a cui vendere anima e intelletto in cambio di riconoscimento dei pari si può essere Dragoni. Quel terreno di mezzo è il più fertile per far crescere un Dragone. E lì ecco che entro in campo io.

Il Dragone ride perchè vuole in parte distruggere ciò che è per creare ciò che può essere con la fiammata metaforica della risata, dell’ironia, dell’auto-ironia, e della leggerezza, ma la risata è esplosiva fertile perchè nasce da un desiderio di migliorare, di migliorarsi, di studiare con l’umiltà che non ha il “drago” (inteso come “Io sono un drago perchè sono bravissimo! Inchinati o ti mangio!”… che… anche no…), ma ha il “dragone” che non si prende sul serio mai fino in fondo perchè sa che il suo cammino verso la perfezione è infinito e non vuole impigrirsi.

Certo l’idea dei Dragoni non è venuta a me, non sarò originale, e neanche i Jendars sono miei, ma frutto di una tradizione magari insignificante spiegata da quel monaco tibetano pazzo come me, ma non potete negare che di fronte alle normali dinamiche di un mondo di cui si conosce l’inizio e la fine, gli insegnamenti di quell’uomo che apprezzava il Featherless Shaman, quel milanese dai capelli rossi che spiegava gli spiriti scientificamente senza bisogno di piume, non rappresentino una fonte di ispirazione per lo meno poetica e affascinante. Nella mia impermeabilità acquisita, fonte di protezione dagli schizzi di un mondo dove il diritto di parola ad oltranza ha preso una piega inquietante, ho permesso a questa parafrasi della realtà di prendere una certa porzione della mia attenzione. Le ho permesso perfino di influenzare dopo un lungo allenamento e un cammino non indifferente che nasce dalla consapevolezza che o si rispetta una tradizione con consapevolezza o che tutto si risolve in una buffonata, la mia produzione artistica arrivando a incontrare il momento del mio fidanzamento ufficiale con un altro Dragone. Stiamo parlando di metafore e concetti che si basano sulla consistente sicurezza del fatto che, come quando giocavo con il tema del LuPo, non c’è niente di meglio di un fatto reale per potenziare l’effetto emozionale di un atto mentale e di una volontà specifica. Ad esempio all’inizio la volontà era di mantenere il mio passato, di ricordare da dove vengo, chi sono e di giocare auto-ironicamente su me stesso per creare in chi “legge” e in chi “vuole leggere” un’interfaccia più umana e meno fredda e professionale, dandomi la possibilità di sfumare la mia anima in cerca di giustizia sociale che a volte può risultare dura anche per coloro che pensano i miei stessi pensieri.

Adesso invece il Dragone del Cielo è quella figura mitologica che mi è arrivata dall’esterno, un prestito concesso, un frutto succoso caduto da un albero che giustamente ho assaggiato per non lasciarlo agli uccelli. Come un tempo il LuPo era stato creato dai miei amici di scuola come gioco di iniziali, così il Dragone è arrivato da un Monaco Tibetano in visita ad Ibiza.

Ciò non cambia che Luca Povoleri sia solo un “+1” sul pianeta terra, l’ho sempre detto e ne sono profondamente convinto, non sono nessuno, ma la mia scelta e la mia persistenza verso questo cammino che riconosce l’ufficiale non prendendolo mai troppo sul serio mi fa pensare che posso rendere questo “+1” valido per quei costrutti psicosociali che vanno verso un miglioramento della nostra specie come esseri umani. Tutto ciò insieme ad altri che pensano allo stesso modo.

Tutto sommato infatti se io stesso posso sdrammatizzare e relativizzare quello che faccio, sotto sotto però sto facendo, sto costruendo, sto volando, sto aiutando e sto plasmando. Il senso del ridicolo è per me una bussola che dà il nord e a volte l’aria su cui spiego le mie Dragonwings fin dal 1982 (SIC!).

Questa foto (e finalmente arriviamo al “punto”) non è un selfie, non è volontaria, l’ho fatta per studiare alcuni dettagli fisici che mi servono per un Jendar intagliato con forma umanoide (che sarebbe il mio primo lavoro di legno con questo tema, molto complesso da realizzare). Eppure come quando mi chiamarono LuPo e quando ho letto per la prima volta della leggenda del Dragone del Cielo e del Dragone della Terra, la foto mi ha colpito perchè c’è una parte di me che non emerge quasi mai al grande pubblico. Io insegno da anni Meditazione. Non sono proprio schifato dai miei clienti come terapeuta e ho lavorato con vari gruppi in ogni ambiente possibile: in un centro medico, in una stanza ayurvedica, in una spaggia deserta, di fronte a un precipizio, sotto il sole, in una antica tenda mongola. Sono un terapeuta trilingue che al momento ha lavorato in vari paesi, in 5 città diverse, e con persone e aziende da tutto il mondo. Però a volte sembra incredibile perfino a me quando lo scrivo o lo racconto a un collega o a un amico. Non sono un Drago, sarebbe troppo serio (e molto anni 80) ma sì sono un Dragone, un Dragone del Cielo che vive proteggendo i marinai e gli avventurieri, coloro che osano e che vivono lanciandosi verso l’ignoto e che come unica bussola hanno la voglia di respirare a pieni polmoni e guardare un orizzonte sempre un passo avanti del nostro desiderio di infinito.

Dragoni di tutto il mondo unitevi, meditate, pensate, confrontatevi, guardate e osservate gli altri e il silenzio, coltivando quelle parole dentro di voi che se portate al mondo troppo presto risultano acerbe, ma che mostrate a fioritura finita eccedono di vigore e non di lungimiranza. L’ironia e soprattutto l’auto-ironia siano la nostra bussola, ci permettano di sfoltire le foreste più fitte di opinioni sfiorite e le malerbe dannose ricordando tuttavia che una malerba può essere a volte più utile di un suolo secco e sterile. Infine come ultima fase, atterrate, agite, parlate, comunicate, mostrate voi stessi perchè niente è peggio di una buona idea lasciata avvizzire nell’oscurità di un angolo buio dell’anima per paura di tornare a quel suolo umano che a tutti noi corrisponde.. L’ironia e la leggerezza sono le uniche cose capaci di svegliare un dragone da un umano.

Luca Povoleri

5 Replies to “Dragone del Cielo”

  1. Oggi ho potuto leggerlo e ti sei superato!!!!! Un testo bellissimo, sensibile, divertente… dell’ironia fertile però!!!! 😂❤ molto molto molto molto bello!!!! 😍❤😍❤😍❤😍❤😍❤😍❤😍❤😍❤

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    1. Eheh beh ti ringrazio per il tempo che hai speso leggendolo. E’ un testo intenso e a volte un po’ criptico come piace a me, ma non avevo dubbi che saresti riuscita a coglierlo. Ci sono alcuni aspetti anche di Kratimus come avrai visto per cui in effetti conoscendo un po’ il mio modo di scrivere e di pensare sono contento che ti sia arrivato il messaggio! 🙂

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