In questa nostra società di corpi curati, di diete disparate e di palestre così piene che se si collegassero alla rete elettrica diminuirebbero drasticamente la nostra bolletta bimestrale, c’è una sola bilancia la cui lancetta speriamo corra verso i numeri alti della scala: quella del nostro peso sociale. Tutti esercitiamo il potere della nostra presenza, il significato della nostra esistenza, su chi sta in contatto con noi. E a prescindere da come siamo, la percezione dell’altro di come siamo è tanto importante per lui, come per noi la nostra auto-percezione.
Abbiamo superato il limite della società individuale per arrivare a pensare a un società transpersonale dove ognuno influisce sulla realtà dell’altro. Per cui cerchiamo l’aiuto quando ne abbiamo bisogno, sfoghiamoci, quando lo vediamo necessario, ma ricordiamoci sempre che siamo responsabili anche delle persone che stanno in contatto con noi. Essere fedeli a ciò che si prova è l’unica vera via per stare bene con noi e con gli altri.
Fingere di non voler pesare sugli altri, edulcorando la tua esperienza personale, è come uno shot di zucchero per chi sta con te e mantiene l’illusione che tutto va bene di cui si nutre la “crisi”. Al contrario essere troppo negativi o combattivi o critici, fino alla cecità in nome della causa, al contrario, raccoglie grumi di consensi che vanno contro a qualunque causa a lungo termine. La cosa più particolare è che entrambi i modi di fare hanno uguale significato in termini di impatto sociale secondo gli studi: ossia generano un malessere eccessivo che nessuno vuole provare, o per un confronto per realtà edulcorate che non corrispondono all’esperienza della persona normale, o per l’impatto emotivo che il fanatismo per qualunque causa genera attraverso chi ne entra in contato. Il risultato è il rifiuto della maggioranza che sta nel mezzo e vuole solo mantenere l’equilibrio.
Se vogliamo cambiare ciò che non ci gusta dell’esperienza personale di questo mondo un po’ in rovina, l’unica cosa su cui possiamo fare affidamento è l’unione. Il superamento delle differenze individuali in nome del diritto come specie, di evolvere. Non più unicamente il diritto dei singoli o dei gruppi, all’interno della società, ma il diritto di evoluzione come specie.
Facebook, le reti sociali, non sono per niente male a priori. Sono pessime se le utilizziamo solo come dimostrano tutti gli ultimi studi in merito, per comunicare solo o le cose belle, o le battaglie più intense sotto molte bandiere. Si mantiene in questo modo il segreto su chi siamo davvero, e si crea una facciata che non serve davvero a nessuno, neanche a quella sensazione di piacevolezza che il fatto di ottenere dei “like” ci può dare.
Sentire il piacere della conferma dei pari, ossia dei tuoi contatti di facebook, si può sentire se ognuno trovasse il modo di esprimere cià che sente. Utilizzare i media sociali per connettersi alla nostra interfaccia transpersonale, ossia alla nostra “presenza sociale”. Noi siamo parte di molti gruppi, piccoli o grandi, chiamiamoli sistemi. E il nostro esistere, già di per sè ha un effetto su questo gruppo/sistema. Per cui già il lavoro è fatto. Non ci vuole grande sforzo.
Essere fedeli a quello che si sente, è uno dei modi più semplici, per creare un cambiamento, per combattere la crisi. Non si tratta più di unirsi sotto bandiere che creano differenze, ma sotto l’unico diritto di specie, che ci accomuna tutti: cambiare, trovare nuovi equilibri, e continuare ad evolverci.