Orgoglio e Posidonia

Berlusconi, chiesa, mafia, corruzione e tradimenti. Quando mi trasferii in Spagna camminavo guardingo per le grandi strade del centro, sotto quel cielo enorme che raccoglieva così tante culture, attento a lanciarmi sull’altro marciapiede qualora avessi ascoltato i chiassosi schiamazzi degli italiani all’estero. Con il tempo mi accorgevo che i miei capelli mi facevano scambiare per tedesco, la mia “r” per francese, e la mia barba per irlandese. Insomma, di Italiano non ho mai avuto niente. Per cui avvalendomi dei fattori camaleontici della mia genetica, nessuno poteva scambiarmi per questi “cafoni calcio-dipendenti” che cercavano di affogare nell’eredità culturare stereotipica, il mio slancio verso il futuro e verso una società più adulta e moderna.
Quando iniziai dopo sei mesi a creare la mia marca, Csélion, pensavo già in Spagnolo, avevo già completamente assorbito la lingua e perso l’accento “canterino”, per cui nulla poteva tradire il mio splendido e perfetto ruolo di cittadino del mondo.
Io vivo nel mondo. Le mie radici potate si immergono nel fertile terreno internazionale e così mi sento bene. Punto.

Anche quando iniziai a lavorare a Ibiza, la mia perfetta immagine internazionale mi aprì molte porte. La mia presenza e il mio modo di fare professionale, umano e molto preparato era un’immagine che in molti centri volevano utilizzare, e scherzosamente quando la gente scopriva le mie origini dal nome (di solito pensavano che fossi “Lucas”, spagnolo), non c’era nessuno che non si “complimentasse” con me per non sembrare italiano in nulla.
Bisogna anche dire che dopo il primo anno a Madrid, già non mi preoccupava più essere scambiato per un originario del bel paese. La distanza che c’era tra me e gli italiani era già così implicitamente evidente, che guardavo con simpatia e una certa punta di bonaria nostalgia un po’ snob i gruppi urlanti di festaioli o di litiganti che incrociavano il mio cammino.

Ma proprio in quel momento forse raggiunsi il punto più adatto per un cambio di prospettiva.

Infatti poi conobbi Formentera. Per chi non lo sapesse, Formentera è una piccola isola al lato di Ibiza. A differenza della sorella grande, Formentera è un paradiso tropicale senza tante feste e movimenti notturni. E’ un gigantesco parco naturale benedetto da un’alga, la posidonia, che mantiene l’acqua pulita e cristallina. E’ dove ho avuto la fortuna di apprendere a fare diving, una delle esperienze tra l’altro più formative che ho avuto finora.
Ebbene ci sono tre cose per cui è famosa Formentera: la posidonia, uno splendido Flower Power (una festa di paese dai tratti un po’ potere dei fiori, molto bella e sotto un cielo splendido) e gli italiani. Certo gli italiani. Perché un buon 70% dell’isola, senza esagerare, è italiana.
Ma non italiana chiassosa e ignorante, italiana italiana. E più avanti chiarirò questa mia distizione.

In un primo momento scoprire questo dato mi amareggiò. Aver trovato un posto fantastico e dover sentire da tutte le parti parlare italiano sembrava deprimente. In mezzo al paradiso avrei preferito ascoltare altre lingue, condividerlo con altri cosmopoliti.
Ma poi conobbi alcuni di questi italiani che avevano colonizzato l’isola. E mi sembrava di vedermi allo specchio. Venivano da tutte le parti d’italia con un sogno: dimenticarsi delle loro origini. Dimenticarsi dell’ignoranza, della chiusura mentale, del provincialismo, della corruzione, e allungare il loro sangue con quello delle mille culture che ogni giorno calpestavano quelle spiagge assolate. Insomma, proprio come volevo fare io!
Tutto d’un tratto cominciai a sentire un certo calore nel cuore a sentire i racconti di queste persone. La solitudine che avevo sentito per tanto tempo che ritraeva le mie radici dal mio nucleo culturale cominciava a lasciare spazio dapprima a qualche tiepida scintilla di compagnia e in breve a uno scoppiettante spettacolo pirotecnico fatto di molto legno fresco dagli aromi vivi.
Con il passare dei giorni e l’incontro costante con queste “fotocopie” di me stesso italiane, sentii che qualcosa dentro di me stava cominciando a cambiare e cominciai a vedere le cose da un’angolazione completamente diversa.

Dopo quasi due anni fuori dal mio paese natale, cominciai a dare un’occhiata alle notizie italiane. Politica, papa, cronaca, tempo. Insomma le solite cose. Eppure com’era che con tutte queste solite cose Formentera, quel luogo così speciale, era popolato da persone con il mio stesso sangue e con il mio stesso pensiero? Attenzione, non sono quelle persone che si trovano in Italia che parlano in un certo modo e sembrano essere fuori dagli “schemi”, lamentandosi di tutto e tutti, ma in realtà coprono solo un sentimento di superiorità nei confronti degli altri e una totale ignavia nei confronti del cambiare le cose. Parlo di persone che hanno appreso l’umiltà (non religiosa) di chi vuole ricominciare da zero. Una umiltà che se non viene da un dogma morale, viene solo da un risveglio di consapevolezza che da lì a poco avrebbe coinvolto pure me.

Siamo stati abituati a contrastare la nostra immagine attuale così deleteria guardando sempre al nostro passato glorioso. La nostra eredità artistica e culturale è ormai un doloroso ricordo se ci soffermiamo a vedere il contrasto con il nostro presente. Popolo di scrittori, artisti, viaggiatori.
Ma questo era il passato. Un passato arrivato a noi attraverso il filtro di una istruzione tendenzialmente statalizzata e programmata in un certo modo per dare un imprinting culturale specifico di un paese che vive del turismo ormai. Per cui viene utile darci una dimensione di un passato glorioso, perché così possiamo essere perfettamente motivati a mantenere il turismo come fonte di sostentamento (salvo il fatto che purtroppo non è sufficiente).
Nel presente invece non si trattava infatti di scrittori, artisti, viaggiatori del passato quegli italiani che si stavano reinventando a Formentera. Erano molto differenti, ma ancora non riuscivo a capire in cosa.
Per cui al lato del lavoro, che comunque solitamente mi portava da stranieri perchè in generale apprezzato di più, continuavo a guardare le reti sociale italiane, le notizie, i commenti su reti sociali.
Fu il giorno in cui venni a conoscenza del fenomeno televisivo “Gomorra” e in cui finalmente compresi una verità fondamentale di noi italiani.

Noi italiani siamo programmati implicitamente per odiare le nostre tradizioni: tutto quello che pensiamo di noi in termini dispregiativii e auto-critici è una forma di auto-censura imposta, perchè la vera caratteristica dell’italiano è desiderare ardentemente la libertà. Gli schemi ci stanno stretti, e per questo abbiamo creato un sistema che ne crea di forti. La mafia, la chiesa, la politica nostra, sono risposte castranti di persone che vorrebbero essere libere, ma vengono limitate. Infatti solo con un grande desiderio di libertà si genera in risposta una forza altrettanto intensa, ma in forma oppositoria.
In Psicologia spesso chi è dotato di una caratteristica pronunciata, un dono importante personale o transpersonale (ossia sociale), spesso passa attraverso un sistema di auto-castrazione indotto dall’esterno, una specie di meccanismo di difesa dell’organismo-società, che deve mantenere la sua omeostasi controllando i suoi elementi costitutivi quando sono troppo lontani dalla norma, anche se si trattasse a lungo andare di un vantaggio evolutivo. Si potrebbe vedere il paragone con l’apoptosi cellulare, la morte programmata, per evitare al sistema danni di cellule che non rientrano nei parametri di funzionamento normale come ad esempio certe forme di cellule tumorali.

Questo non significa che l’italiano può essere dannoso per l’organismo, ma che magari l’organismo non è ancora abbastanza evoluto per portare a livello a livello “sistemico” (ossia a livello generale) le caratteristiche anche molto positive di alcuni individui. Perché la culla della filosofia europea, grecia e italia, sono le prime ad aver sofferto pesantemente la Crisi? Io credo che sia perché finalmente gli italiani sono pronti ad affrontare i meccanismi osmotici dell’organismo-società, il nostro imprinting culturale, portando a una evoluzione del sistema.
Quindi che gli Italiani che noi Italiani conosciamo e disprezziamo (perchè so per esperienza che non c’è nessuno che leggendo la parte più critica del mio post non si sia almeno parzialmente identificato in quello che scrivevo) sono un’immagine che abbiamo di noi stessi, ma che fa parte della nostra “apoptosi” socialmente indotta. Siamo tendenzialmente anarchici e non ci piace un sistema rigido e per questo il nostro sistema diventa in risposta più rigido moralmente, culturalmente, legalmente, per controbilanciare il nostro spirito avventuriero per mantenere l’equilibrio.

Gli italiani in tutto il mondo vengono conosciuti attraverso gli stereotipi, e tutto sommato ci fa un po’ comodo che sia così. Però se ci pensiamo le comunità italiane nel mondo sono piuttosto forti e si sono collocate in alcuni punti chiave del pianeta dove hanno preso il loro spazio. Non ci sono gli alti svedesi, i fini francesi, i forti tedeschi o i corretti inglesi nel paradiso terrestre d’Europa. Ci sono gli italiani. E molti di loro proprio non sono i pizza, mandolino e spaghetti che pensiamo di conoscere. Sono persone forti e con voglia di lavorare, di vedere, di ascoltare, di lottare.

All’estero io ho avuto la fortuna di vedere il vero animo degli italiani al di là dell’epicureismo sistematico che usiamo come filtro. Gli italiani sono conquistatori. Non con armi e battaglie, ma con amabilità, simpatia e bonarietà. Zitti zitti sotto voce, gli italiani conquistano gli animi e i cuori perchè il vero motivo per cui esistono è vivere liberi e a tutti piace la libertà.

Ovviamente tutta questa è solo e unicamente una mia percezione, una mia acquisizione personale, ma con il tempo ho scoperto che non potrò mai essere una persona né un professionista completo, senza accettare il nucleo culturale che mi ha creato. Non esiste modo scientificamente accettabile per cancellare o arginare un imprinting culturale. Per cui meno lo si accetta, più energia personale si spende per arginare le sue modifiche e le sue linee di codice nascoste o dormienti, invece che spenderla verso l’esterno.

All’estero io ho scoperto l’orgoglio di essere italiano. E con il tempo scoprirò altri veri italiani che si sono liberati dalla loro “italofobia interiorizzata”. E’ certo che molti credono ancora in questo “gioco al massacro” e i fenomeni di corruzione, mafia, religione eccessiva (la religiosità normale di qualunque genere, quando in sintonia con la spiritualità personale e in armonia con gli altri è una esperienza molto vantaggiosa e positiva) sono oggettivamente una piaga del nostro paese.
Però io credo che non è con la fuga che si risolve, semmai con una ritirata strategica, per riscoprire davvero le nostre radici, e un rientro per portare nuove componenti evolutivi.

Gli Italiani sono un popolo come un altro. Che può apportare al mondo qualcosa di utile e di meno utile, come tutti gli altri. Dentro siamo dei grandi Avventurieri, con il desiderio di rompere catene, e liberare il mondo. Più forte crederemo in questo, più grande sarà la nostra forza quando ritroveremo il nostro orgoglio, e più potremo risvegliare gli animi degli altri.

Qui non si parla di crisi o di lavoro, o di soldi. Qui si parla di ricordarsi dei parametri genetici che rendeva questo piccolo stivale di terra, un centro di potere economico, militare e culturale per un buon periodo della storia europea e aggiornarli al nuovo mondo con tutte le esperienze migliori che il resto delle popolazioni che possiamo conoscere ci forniscono. Ritrovare il nostro orgoglio, ma attenti, non l’orgoglio cieco che spinge gli urlatori bonaccioni dei nostri turisti. L’orgoglio moderato, di chi sa che la sua genetica come quella di tutti gli esseri umani, spinge verso la libertà e stare bene con gli altri, e che se per noi si declina in certi modi, è comunque uguale, nei suoi principi, a qualunque altro essere umano. Risvegliare dentro di noi il diritto di avere i nostri limiti, ma di volerli superare. Orgoglio di essere italiano significa superare il catastrofismo degli eterni lamentoni o il buonismo dei conservatori nostalgici, e capire che “italiano” è solo una parola che definisce limiti e vantaggi e che non ci impedisce in alcun modo di guardare fiduciosi verso il futuro accettando entrambi. 

L’evoluzione non è morale. E la forza che può sembrare “repressiva” dell’organismo-società non è negativa. L’osmosi mantiene in vita nel presente, ma per il futuro qualcosa deve rompere l’equilibrio. E se tutto va bene si creerà un’altra osmosi temporanea, e un’altra rottura, e così via verso l’evoluzione o l’estinzione definitiva di quell’osmosi non competitiva in termini di resistenza agli stress ambientali.
Per cui in questo un po’ freddo, forse, ciclo continuo di cambiamenti, io oggi penso che alla fine dei conti sono orgoglioso di condividere la genetica e la cultura di persone che in tutto il mondo sanno vivere in armonia con gli altri, come molti italiani fanno tutti i giorni fuori dagli stereotipi. E insieme a chiunque vedesse in questo un aspetto positivo, mi piacerebbe fare la mia parte per cambiare per cambiare un po’ il mondo.

 

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