Il prezzo di un sorriso

Ricorda, che l’unica grande vera pazzia è vivere fuori dal mondo. Ascoltare la voce interiore che ci dice di isolarci, pazzi, di stare lontano dai falsi e dai bugiardi, pazzi, di vivere dove solo la purezza della luce eterna di amore o ragione arriva, pazzi.
Siamo dei pazzi quando rifiutiamo ciò che succede, dobbiamo invece abbracciarlo e più fa male più stringere quell’abbraccio! Per soffrire? No, per andare avanti. Per tacciare le voci di ignoranti paurosi che fuggono dalla loro ombra.
Sette operazione in cinque anni, ca**o… e chi lo legga lo senta, perché, maledizione, fanno male… eppure bisogna vivere fuori dal mondo, sorridere e mostrare forza, non sia mai che di fronte alle incompetenze mediche, alle pretese economiche fuori di testa, a un sistema sanitario che non sa cosa succede tra occhi e bocca si possa sentire che forse ci siamo ritirati troppo. Nei nostri netflix, nella nostra musica, nel nostro divertimento. Come stiamo comodi.
Eppure quando arriva quella voce forse dovremmo cominciare a non ascoltarla. Almeno non sempre, per iniziare. E di fronte a un’ingiustiza non distogliere lo sguardo. Di fronte a una sventura provare a sentire immedesimazione. Di fronte allo sdegno cominciare ad interrogare noi stessi prima degli altri. Spegnere quella maledetta televisione, quell’IphoneX che ti penetra le ossa, quel giornaletto di racconti per bambini adulti tutti uguali e sempre terrificanti e tornare a guardare i nostri vicini di casa, quelli che si ammazzano di urla nel silenzio di un quartiere in centro città, quelli che fanno finta di non vedere l’ennesima bolletta gonfiata mentre tornano a casa con sacchetti sempre più cari pieni di cibo sempre più economico, quelli che al bar ti danno un caffè per un euro lanciato senza un “buongiorno”, un “grazie”, un “arrivederci”.
Aspetto l’ottava. Operazione. Intrappolato tra due paesi gemelli diversi che parlano di tra di loro con un sorriso furbetto aggiungendo o togliendo le S. E guardo a tutto il mio lavoro. Pazzo. Fuori dal mondo. Devo tornare… per cui eccomi qui, anche io postando le mie sventure con i panni che cadono nel terrazzo del tizio del primo piano con timore che scompaiano (solo i golf buoni, le altre cose tornano tutte… SIC!). Ma questa volta i golf hanno un microchip e chi se li tiene verrà poi denunciato alla polizia segreta dei golf scomparsi per il ricondizionamento di comportamenti sovversivi. Scherzo… sdrammatizzo. L’Ego ci insegna a ingigantire i nostri problemi e l’anti-ego ci dice che non sono neanche dei problemi perchè interessano solo noi e non il resto del mondo. Tanto siamo in tanti. E chissenefrega…
Però non è totalmente sbagliata, quest’immersione submarina nel profondo sconforto della perdita del significato di “me” e di “noi” perché ci porta a pensare a qualcosa di più importante, di un modo di reagire da preferire rispetto ad un altro. Per questo motivo penso: ma anche se ti operano sette volte in cinque anni, anche se ti riempiono di medicine e devi pianificare delle pause indeterminate ogni tot che incidono sulle tue proiezioni di futuro, anche se il corpo ogni volta è meno contento di essere aperto e richiuso, cosa puoi davvero fare? Piangere e lamentarti con il mondo? Sbattere i piedi gridando all’universo “brutto bastardo che t’ho fatto?”. O al contrario ritirare tutto il dolore dentro di te, siamo delle isole maledizione, nasciamo e moriamo da soli per cui cui nessuno deve sapere quando ci facciamo male perchè potrebbe dirci “eh ma tanto a qualcun altro fa più male…”
Chi lo sa…. io ho cominciato a dire che mi operavano ai miei famigliari e amici dalla 4* operazione e a voi dalla 7*. E anche se ho detto “ca**o” prima era più che altro per evidenziare quanto sia davvero un casino una vita che si ferma ogni anno a intervalli regolari con una botta. Tac!
Però si può vivere… se vedete quando scrivo non vedete queste terribili conseguenze sul mio stile di vita. In parte perché la rete non vale per questo, ma anche perchè tutto sommato se uno già soffre per qualunque motivo, che senso ha poi fare pure la vittima? Che senso ha “sentirsi” sfortunato? A prescindere da se esiste la fortuna o la sfortuna, il fatto di “sentirsi” anche sfortunato è solo extra che si può evitare. E io lo evito, non per la rete, ma perché in generale non vale la pena. Preferisco sempre e comunque selezionare e apprezzare i miei sforzi e le mie fatiche verso la crescita mia e degli altri. Certo alla settima operazione e anche perchè qualcuno ha osato dirmi che sono un “allwin” uno che vince sempre etc… ho deciso comunicare qual’è il prezzo del mio sorriso, della mia filosofia, del mio pensiero pragmatico-positivo.
E tutto sommato vale sempre e comunque sorridere, senza dimenticarsi di incazzarsi per le ingiustizie e di lottare per il proprio bene e per il bene comune (che solo un demente ormai ancora pensa che non coincidano), e ricordarsi che se succede a noi magari succede anche agli altri e per questo motivo in generale smetterla di provare invidia o di sentirsi vittime perchè in questo modo diventiamo noi stessi ostacoli per gli altri.
Per cui il sorriso ha un prezzo, ma non sono io che lo so. Lo sappiamo in molti, forse tutti, anche, e questo ve lo dico per esperienza, tutti quelli che non lo dimostrano perché spesso semplicemente sono più resilienti.
Il prossimo “Tac!” sarà come gli altri, ma d’ora in avanti non lo nasconderò più. Il mio dolore non è sbattuto in faccia, ma esiste ed è ora che chi vede come lo affronto positivamente sappia che non è fortuna, ma precisa, potente e incisiva voglia di vivere e volontà di non soffrire. A quel paese il prezzo, se questa è la mia vita abbraccio il mio destino e lo amo come amo me stesso, perché fin quando soffro sono anche vivo.
Luca Povoleri

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